I veri rischi che corre il Paese Se davvero solo un marziano potrebbe capire, come ha detto il ministro Lupi, le posizioni dei sindacati su Alitala, per capire la politica italiana di queste settimane dovremmo rivolgerci almeno ad un abitante di un’altra galassia. La legislatura si era aperta all’insegna delle larghe intese, un’idea sensata, vista la debolezza delle forze politiche italiane uscite dal voto. Le "larghe intese", al di là della soluzione contingente, poteva essere anche la premessa per una riflessione sul sistema politico italiano più generale, considerati e gli scarsi risultati del maggioritario. Vi era poi stata una sentenza della Consulta che riteneva incostituzionale la legge elettorale vigente. La sempre critica situazione economica, imponeva uno sforzo comune per individuare il percorso di risanamento del deficit e qualche iniziativa per provare a rilanciare la crescita. E’ accaduto, invece, prima, che si sono rotte le larghe intese, con la decadenza di Berlusconi dal Senato, poi, che il governo raccogliticcio rimasto è stato spazzato via dal terremoto Renzi. Renzi si è assunto una responsabilità enorme caricandosi il peso del governo su di se, ma le sue intenzioni di rinnovamento erano apprezzabili, quanto disperate. Oggi egli stesso si accorge di essere impantanato nella riforma costituzionale, mentre la situazione sul fronte economico continua a peggiorare. Se Renzi ritenesse sufficiente cambiare il Senato per far ripartire l'economia, sbaglierebbe clamorosamente. Gli indicatori della crisi ci dicono che essa è ben più profonda di quanto possa fronteggiarla una semplice riforma monocamerale. Se poi non riuscisse nemmeno a riformare il Senato, ecco che il Paese si troverebbe di fronte ad una impasse drammatica, perché tutto il tempo preso dal governo sarebbe stato vano. Iniziano anche ad aumentare i dubbi nell’opinione pubblica sull’utilità di una riforma che concentrerebbe al Senato quelle forze localistiche responsabili di un’eccessivo costo della pubblica amministrazione. Abbiamo letto a proposito anche Angelo Panebianco sul Corriere della Sera. Il professore non si accorge però che nello scherma di riforma costituzionale proposta dal governo manca un rafforzamento dei poteri del premier, per cui, con un Senato divenuto un potentato locale, contrapposto ad una Camera nazionale di nominati, il rischio di una democrazia acefala, denunciato in passato, tornerebbe a farsi presente. Tanto che Eguenio Scalfari, domenica scorsa, ha scritto di non vedere rischi di autoritarismo nella riforma, ma semmai uno di confusione che potrebbe divenire poi la premessa di una svolta autoritaria. Se la situazione finanziaria ed economica del paese si aggravasse ancora, abbiamo i dati disastrosi del rapporto di Confindustria sul Mezzogiorno, ecco che davvero davanti al corporativismo del nuovo Senato federale, la soluzione autoritaria potrebbe essere imboccata. Solo che per una soluzione autoritaria, ci vorrebbe anche un leader autoritario e né Renzi, né altri sembrano tali. E’ più facile per il Paese avviarsi semmai ad una deriva anarchica. Ad un dato momento, sarà la comunità europea, stufa di tanto disordine e di tanto lassismo a convincersi della necessità di commissariarci definitivamente. Roma, 29 luglio 2014 |